Libro: "Urla a bassa voce. Dal buio del 41bis e del fine pena mai"
piccolo resoconto a cura di Ciaramaglia Antonio
Questa mattina (sabato 16 Febbraio 2013) le classi seconde e terze del nostro Liceo hanno
preso parte ad un incontro con la giornalista Francesca De Carolis per parlare e discutere con l'autrice del libro "Urla a bassa voce. Dal buio del 41bis e del fine pena mai". .
Il
tema centrale della giornata è stato, appunto, quello trattato dalla De Carolis nella
sua ultima pubblicazione, “Urla a bassa voce”: qui la giornalista riporta la
situazione italiana dei detenuti condannati all’ ergastolo “ostativo”, ovvero
coloro che, non avendo accettato di collaborare con la giustizia, sono
destinati a non ottenere nessun beneficio previsto dalla legge, rimanendo così
per il resto della vita in carcere. Le origini di questa procedura sono da
rintracciare nel famoso articolo 41bis della legge del 26 luglio del 1975,
ideato per eliminare qualsiasi legame con le organizzazioni malavitose dalle
quali provengono i detenuti, quindi imponendo loro un isolamento perenne dal
resto del mondo senza la possibilità di comunicare all’esterno, se non dopo
decenni.
Alcuni
ergastolani, dinanzi a questa prospettiva di carcere a vita, hanno accantonato il pensiero del suicidio a
favore della scelta di trasmettere le proprie storie e riflessioni attraverso
la corrispondenza con giornalisti e volontari; tra questi giornalisti figura proprio
la dottoressa De Carolis, che durante l’incontro si è confrontata con i ragazzi
del liceo per sondare le loro opinioni, sia favorevoli che contrarie a questo
duro provvedimento.
Tra
una lettura e l’altra dei passi tratti dal libro si sono inseriti gli
interventi della De Carolis, che ha riflettuto con i ragazzi sul principio
costituzionale della rieducazione del detenuto; nella società contemporanea è infatti
difficile poter considerare le pene impartite ai carcerati come “rieducative”,
sia a causa delle condizioni in cui vertono le strutture penitenziarie
dell’Italia, sia per l’assenza di un vero personale specializzato nel recupero
di questi individui.
Cosa
fare quindi? Prendere esempio dal carcere di Bollate, la casa di reclusione che
ha davvero messo in atto l’articolo 27 della Costituzione? O continuare a
considerare la pena assegnata dallo Stato ad un detenuto come la giusta
vendetta del privato?
Visto il tema e quasi sussurrando, poiché sa quanto delicato sia l'argomento giustizia-vendetta-rieducazione e duplice se non triplice le posizioni, l'autrice ha cercato di trasmetterci quanto sarebbe importante entrare in contatto con questa realtà, e non disinteressarsene,
poiché è dovere di ogni singolo cittadino preoccuparsi della condizione dei
suoi simili ed aiutarli a ri-tornare alla vita indipendentemente dal "reato". Ci costringe come dice Don Ciotti, nella prefazione, "...ad aprire gli occhi di fronte a una realtà che non ci piace. ...." e proprio di di fronte alle domande "scomode", che l'incontro ha stimolato in noi ragazzi verso i detenuti e il loro reato, richiamare il senso vero della "giustizia" nella pena-di fronte a casi in cui è realmente impossibile risarcire la "vita rimossa", che non dovrebbe reprimere ma rieducare. Sicuramente andremo a casa con tante domande, ma altrettando sicuramente comporteranno un atteggiamento introspettivo che richiederà maggiori approfondimenti più incisivi nella trattazione del "fine pena mai".