Crisi e non lavoro: l’invenzione del Job Sharing a cura di Di Giovanni Lucia e Natale Capodiferro
A fronte dei 2,5 milioni di giovani, soprattutto, e “anziani”(strano questo termine, a volte ha
valore positivo, vedi capitolo pensioni perché possono ancora lavorare, a volte negativo perché “tolgono” il diritto
al lavoro dei giovani stessi), la disoccupazione avanza imperterrita
sguisciando negli strati della società, con questa crisi, come i serpenti
nell’erba, senza far rumore e senza far danno alcuno. Anzi traendone da
ciò, benefici e utili, le
finanziarie e le banche, inanzitutto, pescando nel sottobosco stesso
della disoccupazione e dell’emarginazione e del degrado-distacco sociale promuovono
derivati, mutui, fidi e finanziamenti da strozzini. Come potrebbe allora con
questa situazione prodursi lavoro senza un costo eccessivo! E non parleremo del
costo del lavoro e delle problematiche già descritte nell’articolo pubblicato
il 22 maggio mas di quello che alcuni paesi considerano positivamente alternativa.
Il nucleo familiare oggi è costretto
a “pensare” come alimentare le proprie sostanze economiche. O come rimediare alla
disoccupazione di uno dei familiari, coniuge o figlio/a. Negli Usa sin dagli
anni ’60 si è sviluppata un nuovo tipo di prestazione: lo Job Sharing .
I nostri genitori potrebbero avere la possibilità di organizzarsi il lavoro,
così scarso da trovarsi in giro, seguendo l’esempio degli USA, per cui i cittadini,
invece che arrendersi, lo hanno reinventato
da quel poco che riusciva ad emergere attraverso lo Job Sharing. Cos’è lo Job
Sharing?
L’Utilità di questo tipo di “prestazione” è importante per impiegare
personale, ma non solo, oggi in parte disoccupato. Ma non solo, potrebbe essere un’ottima idea per omogeneizzare il
tempo-lavoro-famiglia per chi ha un solo lavoro. E soprattutto per le donne.
In cosa consiste: lo J.S. è un
tipo di “contratto di lavoro atipico” a tempo indeterminato o a termine, più
noto come “lavoro ripartito” e prevede che la prestazione lavorativa possa essere svolta suddividendola fra “due
soggetti” ( o più?). Se in una famiglia un coniuge o un figlio sono in
situazione di disoccupazione, possono “sostituire” l’”altro” che è impiegato
quando quest’ultimo sia impossibilitato a svolgere il proprio lavoro, compito o
funzione, per una causa qualsiasi, anche rimanere a casa per accudire a
figli di piccola età. Avverrebbe così uno “scambio” tra persone,
magari della stessa famiglia.
Negli USA, oggi, si possono rintracciare due tipi di J.S.: uno
verticale(settimane/mesi) oppure orizzontale(parti di orario di una giornata
lavorativa/metà giornata). In definitiva si è cercato e si cerca di utilizzarlo
quando le condizioni socio-economiche non lo consentono, organizzando meglio con ergonomicità e sinergia una serie di situazioni
logistiche, proprie di una famiglia.
E siccome la disoccupazione è arrivata a colpire un ragazzo su
tre(1/3) e mancano anche gli strumenti di mobilità e CIG e le risorse statali
in Italia stanno scarseggiando sempre più, così come le famiglie col potere di
acquisto ridotto quasi allo zero, prendere in considerazione il Job Sharing
sarebbe un utile strumento e un’opportunità, così come stanno divenendo realtà
il Co-Housing e il Carpooling. Quest’ultime si iniziano a praticare con una
certa insistenza anche nel nostro paese e alcuni comuni le stanno caldeggiando vivamente,
come proposte, ai cittadini, anche a favore di un minore consumo di energia e conseguente
minore dispersione di Co2 nell’atmosfera.
Vogliamo ricordare che quando non c’è lavoro e le tasse aumentano in
modo sproporzionato, mettendo in seria difficoltà il “bilancio” della famiglia,
ci si assoggetta ad uno stato di privazione e dipendenza che oltre ad aumentare la differenza tra gli
strati sociali più deboli(ma non solo quelli-, anche il ceto medio si è
trasformato oramai in una classe “menoabbiente”) non si determina crescita
culturale.
Si badi bene, lungi da noi ritenere che il J.S. risolva il problema
del lavoro in Italia perché sarebbe un mero eufemismo e non modifica reddito né
potere di acquisto, tale tipo di “prestazione” potrebbe soddisfare, almeno nelle
intenzioni e al momento quella richiesta di “operare”, “fare”, “agire” e crearsi
delle opportunità di lavoro per noi ragazzi.